La storia del Judo: l'arte della cedevolezza

Il judo trae le sue origini dall'antico ju jitsu: il suo fondatore Jigoro Kano studiò e approfondì diverse scuole di ju jitsu giungendo ad ottenere il grado di Shihan (maestro) in due di queste, chiamate Tenshin shin'yo (specializzata in Katame waza, ossia lotta corpo a corpo, strangolamenti, leve articolari) e Kito (specializzata in Nage waza, tecniche di atterramento al suolo). 

Quest'ultima era famosa per praticare lo yoroi gumi uchi (combattimento con l'armatura), una sorta di randori (pratica libera) con tecniche di proiezione. La differenza con le altre scuole, che praticavano principalmente i kata (forme preordinate), era evidente ed ebbe una grande influenza sul maestro Kano.

I suoi studi gli consentirono nel 1882 di fondare una nuova scuola dove insegnare il proprio metodo, alla quale diede il nome di Judo Kodokan.

La storia ed il clima politco

L'anno 1853 segna una data storica per il Giappone: il commodoro Perry, della Marina Americana, entra nella baia di Tokyo con una flotta di 4 navi da guerra, consegnando allo Shogun un messaggio col quale si chiedevano l'apertura dei porti e trattati commerciali. 

Lo Shogun, probabilmente intimorito dalla dimostrazione di forza, rimise la decisione nelle mani dell'Imperatore, il quale accettò quanto proposto. Per il Giappone, che fino a quel momento aveva vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, inizia l'era moderna. 

La definitiva caduta dell'ultimo Shogun avvenuta nel 1867 ripristinò definitivamente il potere imperiale il quale, a dimostrazione di una definitiva uscita del Giappone dal periodo feudale, promulgò nel 1876 un famoso editto. Con tale legge si proibiva il porto delle spade, decretando definitivamente la scomparsa della classe sociale dei bushi, detti samurai, che avevano predominato nell'isola per quasi mille anni.

Vi furono importanti cambiamenti culturali nella vita dei giapponesi, dovuti all'assorbimento della mentalità occidentale. La conseguenza più evidente di questi importanti cambiamenti fu il rigetto per tutto quanto apparteneva al passato, compresa la cultura guerriera che tanto aveva condizionato la vita del popolo durante il periodo feudale. 



Dal ju jitsu tradizionale al judo

Il jujitsu, disciplina marziale appartenente al bagaglio dei guerrieri, parte dell'antica cultura che si stava abbandonando, da nobile occupazione dei militari scomparve quasi del tutto. 
Le antiche arti di combattimento tradizionale perdono il loro vigore e diffusione, anche a causa della diffusione delle armi da fuoco. I numerosi dojo allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi; i pochi rimasti erano frequentati da ex guerrieri dediti a combattere per denaro e spesso coinvolti in crimini. 

Questo declino delle antiche usanze influenzò ulteriormente il giudizio negativo del privati cittadini nei confronti delle arti marziali tradizionali, in particolare del ju jitsu, nelle quali si vedeva un'espressione di violenza e sopraffazione, avulsa dalle nuove regole adottate dalla società giapponese.

È in questo clima culturale si inserisce la figura di Jigoro Kano: egli, professore universitario di inglese ed economia, dotato di notevoli capacità pedagogiche, intuì l'importanza che potevano assumere lo sviluppo fisico, coniugato con la capacità nel combattimento, se usate proficuamente per lo sviluppo intellettuale dei giovani.

Il primo passo per la codifica del nuovo stile pensato dal maestro fu quello di eliminare tutte le azioni di attacco armato e non che potevano portare al ferimento, a volte anche grave, degli allievi: queste tecniche furono ordinate nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. 


Poi studiò e approfondì il nage waza appreso alla scuola Kito, formando così un sistema di combattimento efficace e sicuro. Ma la vera evoluzione rispetto al ju jitsu tradizionale si ebbe con la formulazione dei principi fondamentali che regolavano la nuova disciplina: Seiryoku zen'yo (il miglior impiego dell'energia fisica e mentale) e Jita kyo'ei (tutti insieme per progredire). 
Questi principi volevano dimostrare che l'uomo poteva migliorare sé stesso attraverso la pratica del judo, contribuiendo al miglioramento della società con la partecipazione di tutti. 

Sintetizzando brevemente, ma non esaustivamente, con uno slogan, lo scopo finale del ju-jitsu era il raggiungimento della massima abilità nel combattimento, mentre nel judo l'abilità era il mezzo, il veicolo, per giungere la condizione mentale del "miglior impiego dell'energia".

Questo significava impiegare proficuamente le proprie risorse, il proprio tempo, il lavoro, lo studio, le amicizie, allo scopo di migliorarsi continuamente nella propria vita e nelle relazioni con gli altri, conformando la propria vita al compimento del sopracitato principio. Si posero pertanto le basi per imprimere alla disciplina del judo un alto valore educativo per la popolazione, unito alla sua efficacia nel caso venisse impiegato per difendersi dalle aggressioni.



Obbiettivi del judo e diffusione

Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica: il Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera. Il raggiungimento di questo scoscopo si attua attraverso la pratica delle tre discipline racchiuse nel judo: 


  • rentai (cultura fisica)
  • shobu (arti guerriere)
  • sushin (coltivazione intellettuale)

Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non potesse vantare almeno un dojo. Parallelamente si diffuse nel resto del mondo, grazie a coloro i quali viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) lo appresero, reimportandolo nel loro paese d'origine. 

Non meno importante fu infine la venuta in Europa, intorno al 1915, di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Koizumi in Inghilterra e Kawaishi in Francia.

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